domenica 13 marzo 2016

Il magnifico silenzio






"The magnificent silence"



… quando la tempesta smette, lascia la neve accovacciata a chioccia sopra la capanna. La pendola con la voce del cuculo di legno batte i colpi di un pulcino dentro l’uovo. Il cuculo di legno ha la voce di maggio, quella spaesata di un profeta nella città in baldoria.
L’uomo d’inverno deve solo resistere nel guscio. Pensa: nessuna geometria ha ricavato la formula dell’uovo. Per il cerchio, la sfera c’è il pigreco, ma per la figura perfetta della vita non c’è quadratura. Nei mesi con il bianco addosso e intorno, l’uomo diventa visionario. Con il sole nelle palpebre abbagliate la neve si trasforma in frantumi di vetro. Il corpo e l’ombra disegnano l’articolo il. L’uomo sulla montagna è una sillaba nel vocabolario.
Nelle notti di luna il vento muove il bianco e manda le oche sulla neve, un vecchio modo per dire che fuori passeggiano i fantasmi. Li conosce, alla sua età gli assenti sono più numerosi dei rimasti. Alla finestra guarda passare il loro bianco di oca sulla neve notturna.
E’ novembre, davanti a lui l’inverno da venire, immenso da ospitare. Ha avuto il pensiero di scendere a valle quest’anno, svernare in paese. E’ la prima volta che sbuca, tra i passi in salita, il pensiero. L’uomo dà un calcio a una piccola pigna di mugo. Senza di lui la capanna crollerebbe di malinconia.
L’uomo racconta poco. Questo spinge gli altri a completare, ingrandendo i dettagli. Una giornalista si era incaponita nell’idea di seguirlo, di spiarlo. Aveva pagato una guida alpina per farsi condurre sulle sue tracce. L’uomo se li scrollava dai passi facilmente. Dove loro erano costretti a legarsi in cordata, lui saliva in libera, veloce. Allora la giornalista si era dichiarata, avvicinandolo al villaggio dove si riforniva. Gli aveva offerto un compenso. Erano i mesi estivi. L’uomo era stato a sentirla, poi le aveva risposto: “Ci penserò”.
Era disabituato a stare davanti a una donna, gli veniva fastidio al naso per l’odore profumato con cui le donne marcano l’aria. Gli si erano mossi umori nella pancia.
Un uomo che non frequenta donne dimentica che hanno di superiore la volontà. Un uomo non arriva a volere quanto una donna, si distrae, s’interrompe, una donna no. Davanti a lei si trovava incalzato. Se era un guardiacaccia se la sbrigava. Ma una donna è quel filo di ragno steso in un passaggio, che si attacca ai panni e si fa portare. Gli aveva messo addosso i suoi pensieri e non se li scrollava.
Un uomo che non frequenta donne è un uomo senza. Non è un uomo e basta, nient’altro da aggiungere. È un uomo senza. Può dimenticarselo, ma quando si ritrova davanti, lo sa di nuovo.
“Ci penserò”. Era vero, pensava alla donna, alla sua volontà di cavargli una storia, a lui che all’osteria stava a sentire quelle degli altri e alla domanda “E tu?” rispondeva alzando il bicchiere alla salute dei presenti, per inghiottire la risposta. Se insistevano, tirava di tasca la sua armonica a bocca e ci soffiava dentro la musica. Non poteva aggiungere la sua storia alle loro. Di ogni cosa narrata dagli altri, lui aveva fatto peggio. Rischi, disavventure, spietatezze, dai racconti degli altri sapeva di essere il peggiore. Alla donna non poteva rispondere col fiato nell’armonica. Ci pensava.
A sessant’anni il suo corpo era accordato bene, compatto come un pugno. E la donna com’era? Come la mano aperta al gioco della morra cinese, la mano che vince perché si fa carta intorno al sasso e lo avvolge. La donna era la carta in cui finiva chiusa la sua storia. E la terza figura della morra, la forbice? Quella era il camoscio, con le sue corna avrebbe vinto la carta, chissà come.
Ci pensava e rimandava. In quell’autunno si accorse della stanchezza in petto e nelle gambe. Si decise a dirle che era pronto. Si accordarono in paese, lei sarebbe salita alla sua stanza a quota 1900 dove il bosco si dirada prima di smettere. Lì tra le sue cose mute avrebbe provato a rispondere.
La donna controllò col freno in faccia la soddisfazione per la breccia aperta e gli strinse la mano, per accordo. Non era carta il contatto con le dita e il palmo. Era la spudorata intimità mascherata da mossa di saluto. Toccare la mano di una donna, per un uomo senza, è un salto nel sangue. Non ci si dovrebbe toccare, donna e uomo, facendo finta che è tutt’altro. La mossa della donna, era stata lei a cercargli la mano, scavalcò il confine dei corpi, già scambio di amanti per lui.
Si guardò la mano e la mise in tasca insieme all’altra. Si erano accordati, lei sarebbe venuta senza registratore. Sulla via di ritorno strofinò la mano sopra un larice, non per cancellare, invece per conservare sotto resina il contatto. Era per il giorno seguente, al ritorno dal suo giro tra i monti.

Era l’ultimo passo dell’autunno, poi sarebbe venuta la neve e il suo magnifico silenzio. Non ce n’è un altro che valga il nome di silenzio, oltre quello della neve sul tetto e sulla terra...

Brano tratto da "Il peso della farfalla" di Erri De Luca, Feltrinelli editrice, Milano, 2009

www.sagarana.net





















Camera Fuji X-E1, lens Fuji XF 18-55mm, pp Lightroom CC & Silver Efex Pro 2

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